Gene Roddenberry Centennial

Quest’anno ricorre il centesimo anniversario della nascita di Gene Roddenberry, il Grande Uccello della Galassia, creatore di Star Trek. Anche lo STIC-AL vuole celebrare la ricorrenza, così significativa per il fandom della serie, attraverso alcune iniziative che scopriremo insieme strada facendo.

Iniziamo oggi con un ricordo di Gabriella Cordone Lisiero e un articolo di Claudio Sonego pubblicato nell’Inside 178, in occasione del 50° anniversario di Star Trek, che ripercorre l’infanzia e la giovinezza di Roddenberry e i suoi primi passi nel mondo della televisione.

Quest’anno, il 19 agosto 2021, ricorrerà il centenario della nascita di Gene Roddenberry, ma per ricordarlo voglio partire dal momento della sua morte, il 24 ottobre 1991. Fu un colpo durissimo per il fandom mondiale, e anche in Italia la sua dipartita sconvolse tutti. Ricordo bene quel giorno, quando attraverso la CNN (ritrasmessa da una TV locale) Alberto ed io apprendemmo la notizia e subito facemmo partire il tam-tam telefonico per diffonderla ai Soci dello STIC.
Io ero in lacrime!
Veniva a mancare il “Creatore”, colui che aveva dato il via a Star Trek, la colonna su cui Star Trek si appoggiava, ma che da tempo non ne era più il creatore effettivo: il sesto film, “creatura” di Harve Bennett come i quattro precedenti, era ancora nelle fasi di post produzione e Gene non lo vide mai finito. The Next Generation era ormai saldamente nelle mani di Rick Berman e Michael Piller. Ma nonostante Gene fosse ormai quasi “in disparte”, lui restava sempre il Creatore, il “Grande Uccello della Galassia”, colui che aveva plasmato la filosofia che era il cuore della saga.
E proprio alla sua stessa nascita, dichiarò di dovere l’idea di Star Trek.
Nel 1976 registrò “Inside Star Trek”, un disco di vinile che comprendeva interviste e aneddoti e tra le varie cose che disse nel disco, dichiarò “Penso che Star Trek sia nato dal fatto che da bambino ero diverso, handicappato. […] Una parte di Star Trek fu scritta da quel bambino, che sognava probabilmente come voi un mondo migliore in cui la gente guardasse al di là dell’aspetto esteriore e vedesse la bellezza che è dentro di noi”.
E continuava…
“La realtà è incredibilmente più grande, infinita ed eccitante dei veicoli di carne e sangue in cui viaggiamo qui. Se leggete fantascienza, più leggete e più vi rendete conto che voi e l’universo siete parte della stessa cosa. […] Voi siete visitatori qui in questo momento, viaggiatori. […] Il vostro passaporto vi permette di riparare quello che potete, di amare, di rifiutare di prendere parte alle brutture […] non siete qui per giudicare, ma per provare e accumulare esperienze. […] In un viaggio come questo, ed è un viaggio, la bellezza non sta nel fatto che le persone siano simili, ma proprio nel fatto che siano tutte incredibilmente differenti”.
Riascoltare queste parole pensando che sono state scritte da chi, oggi, avrebbe potuto avere 100 anni, è un’esperienza incredibile. Soprattutto quando dice: “Credevamo che la massa dei telespettatori, spesso ridicolizzata, fosse stufa dei meschini nazionalismi di questo mondo e credevamo che la gente non solo volesse, ma fosse ansiosa di pensare al di là delle insignificanti opinioni che hanno tenuto l’umanità divisa per tanto tempo. L’ingrediente magico che molte persone continuano a cercare e molti continuano a mancare non è realmente in Star Trek, è nei suoi spettatori”.
Le parole di Gene Roddenberry valgono ancora oggi, ed è questo che fa di lui un “visionario” che professa la sua incrollabile fede nell’umanità, nelle persone. Perciò voglio concludere questa breve introduzione con quel che scrivemmo nel 1991 sul numero 39 dell’allora fanzine, per commemorarlo: “Il suo spirito e il suo sogno saranno sempre con noi, ed è per questo che crediamo che la cosa più giusta da fare per ricordarlo sempre sia continuare a portare avanti il suo sogno, cercando di condividerlo con un sempre maggior numero di persone”.
Il sogno di un mondo con mille sfumature di colore, che si avvicinerà sempre di più man mano che noi, i trekker, continueremo ad amare Star Trek e a ricordarne il Creatore: Gene Roddenberry.


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Nella storia della TV degli Stati Uniti c’è un periodo che viene chiamato the Golden Age, ovvero l’età aurea. Va grossomodo dall’inizio degli anni ’40 all’inizio degli anni ’60. Fu effettivamente un periodo d’oro grazie soprattutto alle prime grandi serie televisive: Alfred Hitchcock presenta o Ai confini della realtà, ad esempio. Si tratta di serie che fissarono uno standard qualitativo altissimo e che appassionarono milioni di telespettatori cambiando anche le abitudini e i costumi degli americani.

Tre erano i grandi network televisivi americani che si contendevano il primato nelle televisioni degli americani: CBS, NBC e ABC. Nel corso degli anni ’60 la televisione visse anche il suo primo momento di crisi e questi grandi colossi dovettero cercare nuove strade. Su una di queste vie incontriamo Gene Roddenberry.

Ma facciamo un passo indietro perché il percorso che lo ha portato alla TV è lungo e affascinante.

Eugene Wesley Roddenberry Jr. nacque il 19 agosto del 1921 a El Paso, in Texas da Eugene Edward Roddenberry e da Caroline Goleman. Il padre, all’epoca, lavorava come operaio nel settore elettrico ma ben presto, alla ricerca di un’occupazione migliore, si trasferì a Los Angeles dove trovò lavoro nel Dipartimento di Polizia della città, inizialmente come ausiliario e pochi mesi dopo come poliziotto a tutti gli effetti, un lavoro che continuò a fare per i successivi 20 anni.

L’allargamento della famiglia, con la nascita del fratello Robert e della sorella Doris, impose al padre l’acquisto di una casa in Drew Street in cui Gene per poco non perdette la vita a causa di un incendio scoppiato durante la notte. Solo grazie all’aiuto di un lattaio di passaggio la famiglia si salvò. Il padre di Gene, per arrotondare lo stipendio, allevava conigli, che i suoi figli vendevano davanti alla porta di casa. Proprio questi conigli furono l’oggetto del primo lavoro di scrittura pubblicato da Gene nel semestrale della sua scuola: L’Asso.

Fin dall’infanzia, dunque, Gene dimostrò interesse per la scrittura, stimolato anche dalle letture di quegli anni: riviste pulp, le storie di John Carter di Marte, Tarzan e la serie Skylark scritta dall’autore di fantascienza Edward Elmer Smith.

Nel periodo della grande depressione sia lui che i suoi fratelli trovarono dei piccoli lavoretti. Gene, in particolare, consegnava i giornali durante la settimana mentre il sabato, la domenica e nel dopo scuola lavorava in una stazione di servizio.

In ogni caso, grazie soprattutto al lavoro stabile del padre, quegli anni non furono difficoltosi come per molti americani e, anzi, la famiglia Roddenberry aiutò parenti ed amici in difficoltà economiche fornendo loro del cibo. Il giovane Gene, dopo aver completato gli studi superiori, si iscrisse al Los Angeles City College dove assunse anche il ruolo di Presidente nel club della Polizia scolastica. Ben presto sviluppò un certo interesse per l’ingegneria aeronautica ottenendo il brevetto di pilota grazie al programma di formazione dell’Aviazione Civile. Nel giugno del 1941 ottenne il diploma universitario in Scienze della Polizia scegliendo però di arruolarsi nella vicina base aeronautica March.

Pochi mesi dopo, l’attacco giapponese a Pearl Harbour cambiò drasticamente il suo destino.

Cieli del pacifico, anni ’40, Seconda Guerra Mondiale.

Si affrontano i piloti americani e quelli giapponesi in una delle più sanguinose battaglie aeree della storia. Ai piloti che riescono a distinguersi con merito in questa tragica pagina di storia vengono assegnate massime onorificenze. Infatti, nell’estate del 1944 alcuni piloti appena congedati ricevettero la Distinguished Flying Cross1, medaglia istituita nel 1927 per premiare le imprese di Charles Lindbergh.

Tra i piloti premiati c’era anche il capitano Eugene Roddenberry.

Terminata la guerra, Roddenberry, a soli 24 anni, cominciò una seconda carriera come pilota civile per la Pan American World Airways, inizialmente di stanza a Miami e successivamente a New York, per volare sulla rotta New York – Johannesburg o Calcutta, ossia i due percorsi più lunghi della Pan Am in quel momento.

Fu in quel periodo che, durante un volo per Istanbul, Roddenberry si distinse per un’azione di salvataggio. L’aereo sul quale stava volando precipitò nel deserto siriano. Malgrado due costole rotte, Gene cominciò a evacuare i passeggeri, tra i quali c’era anche la Maharani (ovvero la moglie del Maharaja) di Phaltan, traendoli in salvo dalle fiamme che stavano divorando il mezzo e che avevano raggiunto anche alcuni uomini e donne che Roddenberry estrasse comunque dalle fiamme usando dei cuscini. Camminando nel deserto per 4 miglia raggiunse la vicina città di Mayadine da dove riuscì a chiamare aiuto.

Per l’opera di soccorso da lui prestata ottenne una lode, insieme ad altri due eroici passeggeri, per la “dedizione al dovere, la calma e l’efficienza dimostrate durante la difficile e pericolosa esperienza”. Roddenberry successivamente affermò di aver vissuto un’esperienza di premorte e che questa gli fece aumentare il desiderio di avere dei figli. Non a caso la moglie Eileen, con cui viveva a River Edge, nel New Jersey, rimase incinta della loro prima figlia: Darleen Anita, nata il 4 aprile del 1948. Dopo l’incidente Roddenberry continuò a volare per la Pan Am malgrado i timori che questo aveva suscitato nella moglie, ma un secondo incidente determinò la decisione di Gene di abbandonare la carriera di pilota per dedicarsi a quella di scrittore, che comunque aveva continuato a coltivare negli anni successivi alla guerra.

Dopo alcuni lavoretti fatti per sbarcare il lunario decise di seguire le orme paterne arruolandosi nel Dipartimento di Polizia di Los Angeles. In pochi mesi passò dalla gestione del traffico al giornale della Polizia con il compito di scrivere comunicati stampa e insegnare la sicurezza stradale. Diventato amico del vicecommissario William H. Parker, ex collega del padre, ne divenne anche l’autore dei discorsi.

“Mi sono licenziato dalla Pan Am nel 1948 e con la mia famiglia mi sono trasferito in California. Non avevo molte altre prospettive e così ho seguito le orme di mio padre e mi sono arruolato nella polizia di Los Angeles, ci sono rimasto otto anni. Durante quel periodo la polizia di Los Angeles era coinvolta in un’attività di consulenza per alcune serie televisive criminali. Iniziai così a collaborare adattando casi reali forniti da colleghi e amici per alcune serie, con la paga di cento dollari a puntata”.

In questo modo Gene Roddenberry iniziò la sua carriera di sceneggiatore televisivo.

Era un piccolo lavoro, però ben fatto e preciso che gli permise di ottenerne degli altri.

È in quegli anni che cominciò a gettare le basi di quello che diventerà Star Trek oltre dieci anni dopo.

Sembra, infatti, che il comportamento razionale e non emotivo del Numero Uno prima e di Spock poi sia basato proprio sull’atteggiamento del vicecommissario Parker.

Nel suo nuovo ruolo di scrittore della Polizia lavorò fianco a fianco con Don Ingalls, che avrebbe scritto per Star Trek anni dopo: “L’alternativa” e “Guerra privata” con lo pseudonimo di Jud Crucis. Tra gli incontri fatti in quell’intenso periodo ci fu quello con un importante autore. Iniziò, infatti, una corrispondenza audio con Erle Stanley Gardner, creatore dei romanzi di Perry Mason.

Nel corso delle loro lettere registrate i due si scambiavano pareri sul lavoro di Harry Steeger, autore ed editore di letteratura pulp degli anni ’30, nonché sui principi della legge americana.

Grazie a questa condivisione di opinioni Gardner cominciò a chiedere il parere di Roddenberry sul proprio lavoro.

All’inizio degli anni ’50 Gene iniziò a collaborare con la serie radiofonica e televisiva Dragnet basata su storie vere della Polizia di Los Angeles, e finalmente nel 1953, pochi mesi dopo la nascita della sua seconda figlia, Dawn Allison, presentò la sua prima sceneggiatura, firmata con lo pseudonimo di Robert Wesley, ottenendo di lì a poco anche l’autorizzazione dal Dipartimento di Polizia di poter svolgere un secondo lavoro, come sceneggiatore freelance.

La sua carriera nella Polizia raggiunse l’apice nel 1954 quando ottenne il grado di Sergente.

In quell’ultimo periodo di lavoro continuò a scrivere sceneggiature e strinse amicizia con Wilbur Clingan, dal cui cognome, anni dopo, ricavò il nome della razza Klingon. “Il mio primo vero lavoro televisivo è stato come consulente per Friedrick Zieve nella serie Mr. District Attorney nel 1954. Quell’esperienza mi ha dato una grande iniezione di professionalità e mi ha consentito di costruirmi una buona rete di contatti. L’anno dopo scrissi su commissione il pilot di una serie di fantascienza The Secret Defence of 117. Fino a quel momento, però, il mio genere preferito, quello che sognavo di scrivere, era il western. Ero un grande fan di Bonanza. Con quell’esperienza le cose cambiarono, e inoltre potei dare le dimissioni dalla polizia per fare lo sceneggiatore a tempo pieno”.

The Secret Defence of 117, serie in cui lavorò anche Ricardo Montalbán, mostrò in maniera chiara quale fosse il genere in cui la scrittura di Roddenberry riusciva meglio: la fantascienza.
Dimessosi dalla polizia di Los Angeles, Gene cercò di scrivere una sceneggiatura per una serie di fantascienza di successo. Nel contesto della Golden Age americana, però, non era un’operazione semplice.

A dominare la scena del momento erano infatti le serie di ambiente ospedaliero o quelle di impronta giudiziaria o poliziesca nelle quali spiccava lo straordinario successo di Perry Mason.

Anche le TV locali, come la ZIV per cui lavorava Gene Roddenberry, tentavano di saturare il palinsesto con prodotti di quel genere. Star Trek era ancora lontana.

Sul finire degli anni ’50 scrisse sceneggiature per diverse serie televisive come The West Point Story o Capitaneria di porto. Cercò anche di avere il controllo creativo di una di queste serie ma senza successo. Grazie all’episodio “Elena di Abajinan”, scritto per la premiata serie Have Gun – Will Travel, Gene vinse il Guild Writer Award per la miglior sceneggiatura. Dopo questi primi passi nel mondo della produzione televisiva Roddenberry cominciò a proporre delle serie da lui ideate che però non convinsero le grandi case di produzione, attratte da serie western. Tra le serie su cui lavorò vi fu anche Riverboat, ambientata negli anni ’60 del XIX secolo, in Mississippi. Quando scoprì che la produzione era contraria ad avere persone di colore tra i personaggi, Roddenberry discusse talmente tanto che perse il posto di lavoro.

West Point, scritta sempre da Roddenberry, andò in onda sulla CBS tra il 1956 e il 1957 e in seguito sulla ABC nella stagione successiva. Gene era ormai nel giro che contava, sceneggiatore di prodotti medi che riuscivano a riscuotere un successo più che discreto. Rapido e preciso venne cooptato anche per copioni singoli di serie già avviate come La Pattuglia della Strada, Have Gun – Will Travel, The Jane Wyman Show, Bat Masterson e altre.

Nello stesso periodo valutò anche la possibilità di trasferirsi in Inghilterra; questa possibilità sfumò però velocemente ma ebbe una importante conseguenza: la Screen Gems, società sussidiaria della Sony Pictures Entertainment, gli offrì il ruolo di produttore per la serie The Wrangler come conseguenza dello sfumato contratto inglese. Questo passo in avanti gli permise di portare finalmente a termine la produzione di un episodio pilota per una serie, mai andata in produzione, intitolata Wild Blue. I tre personaggi principali si chiamavano: Philip Pike, Edward Jellico e James T. Irvine tre nomi che ritorneranno nella storia di Star Trek.

Mentre lavorava per la Screen Gems conobbe una giovane attrice, che gli scrisse per chiedere un incontro, la donna si chiama Majel Lee Hudec più tardi conosciuta come Majel Barrett.

Roddenberry propose un’ulteriore serie televisiva intitolata 333 Montgomery, con protagonista un avvocato interpretato da DeForest Kelley.

La serie non riuscì ad andare in produzione ma venne riscritta con il titolo Defiance County.

Questo cambiamento gli procurò dei seri problemi con l’amico di vecchia data Gardner, l’autore di Perry Mason citato poc’anzi, che lo accusò di aver plagiato il suo personaggio Doug Selby. La serie, in ogni caso, non andò oltre l’episodio pilota.

Roddenberry progettò, allora, una nuova serie ambientata in un dirigibile che girava per il mondo, basato sul film del 1961 Il padrone del mondo. Anche in questo progetto si ritrovano alcuni elementi caratteristici familiari a noi trekker, infatti l’equipaggio del dirigibile è una compagine multietnica.

Insomma, il lavoro non mancava, il ritmo anzi era altissimo. Ma Gene trovò il tempo per continuare a coltivare il suo sogno, una serie interamente concepita da lui.

“La mia aspirazione più alta era quella di realizzare una serie che fosse veramente mia, sulla quale avere il controllo totale, possibilmente di fantascienza.

Era difficile per i tempi. Per diverso tempo provai a buttar giù idee per un concept fantascientifico, queste però venivano sistematicamente rifiutate, così intanto, per rafforzare la mia posizione, scrissi la traccia per una serie di ambientazione bellica. Si intitolava Lieutenant. Fu realizzata e andò in onda per due anni dal 1963 al 1964”.

Dopo tanti tentativi infruttuosi finalmente una sua proposta andò in porto. Nel 1963 venne messa in onda la serie The Lieutenant che vedeva tra gli autori Gene Coon, il direttore del casting Joe D’Agosta nonché attori come Leonard Nimoy, Majel Barrett e Nichelle Nichols con la quale Gene intrecciò anche una breve relazione.

Nichelle Nichols con Don Marshall in ‘The Lieutenant

The Lieutenant andò in onda per una stagione sola ma con buoni ascolti ed ottenne vasti consensi. Non solo, Gene supervisionò l’intera produzione ed ebbe l’ultima parola su tutto rafforzando la sua funzione di produttore. Questo fatto gli permise di avere contatti con vari tipi di professionisti che gli sarebbero tornati utili in seguito. In altre parole, da aviatore con la passione per la scrittura era finalmente diventato uno sceneggiatore televisivo professionista.

La serie venne scritta anche con il sostegno del Pentagono, che permise alla produzione di girare all’interno di una base dei Marines.

Il sostegno del Pentagono venne ritirato dopo una serie di scontri su diverse trame, allorquando Roddenberry propose una trama nella quale un bianco ed un nero trovano una causa comune nell’essere entrambi dei Marines. La serie, come scritto, non venne rinnovata per una seconda stagione ma l’episodio dei due marines verrà successivamente conservato nel Museo della Radio e della Televisione di New York.

L’ultimo sogno da realizzare a quel punto era l’esplorazione dello spazio. Gene Roddenberry aveva sempre amato il western e, nella sua idea, una grande storia di fantascienza doveva fondere elementi futuristici con altri classicamente western: mescolando alcune idee già abbozzate, aggiungendo un personaggio alla Horatio Hornblower e shakerando il tutto in un contesto fantascientifico, presentò infine una bozza di sceneggiatura in sedici pagine, ne inviò tre copie alla Writers Guild of America e lo intitolò, provvisoriamente, Wagon Train to the Stars.

Immaginò, in un futuro remoto, un’astronave concepita per esplorare pacificamente lo spazio e incontrare le popolazioni aliene, costruita per difendersi e non per attaccare. La NBC si dimostrò interessata al progetto. Così il 27 novembre 1964 agli studi della Desilu in California, la produzione dell’episodio pilota ebbe inizio. Il titolo nel frattempo era cambiato, la serie era diventata Star Trek e l’episodio pilota sarebbe stato “The Cage”.

La trama di “The Cage”, che in Italia si intitolerà “Lo zoo di Talos”, è questa: anno 2254, l’Enterprise, diretta verso una base stellare per operazioni di routine e per la riparazione dei danni subiti durante l’esplorazione di Rigel VII, riceve una chiamata di soccorso proveniente da Talos IV, nei cui pressi la Columbia è scomparsa diversi anni prima. Durante l’esplorazione il capitano Christopher Pike viene rapito dai Talosiani che cercano di convincerlo tramite illusioni a formare una discendenza con Vina, l’unica sopravvissuta della Columbia.

Ad interpretare Pike, Roddenberry aveva chiamato un attore di sua conoscenza, Jeffrey Hunter.

Questi era stato tra gli interpreti principali di film come Sentieri selvaggi e Il giorno più lungo ed era stato Gesù ne Il re dei re. La sua performance nei panni di Pike, tuttavia, non fu eccezionale e la NBC sembrò concentrare le sue critiche proprio sul personaggio del capitano.

Molte cose non piacquero alla NBC, molte critiche furono indirizzate al capitano Pike che veniva ritenuto un personaggio scialbo e con poco appeal, non fu certo colpa di Jeffrey anche se certo quella non fu una delle sue performance migliori”.

La NBC bollò il pilot come eccessivamente cerebrale; eppure, i dirigenti del network televisivo non rimasero certo indifferenti davanti all’incredibile immaginario creato dalla fantasia di Gene Roddenberry.

Così venne trovata una soluzione decisamente atipica: realizzare un secondo episodio pilota aggiustando il tiro su alcuni elementi. Nel nuovo pilot che Roddenberry scrive il capitano si chiama James Kirk, un personaggio destinato a segnare la storia della TV in tutto il mondo.

Ora perché un personaggio funzioni è scontato che ci debba essere un attore con un volto ed una personalità adeguate. Per Roddenberry non fu un’impresa semplice. Iniziarono provini su provini, poi un giorno il padre di Star Trek andò a teatro, a New York.

William Shatner e France Nuyen

In uno dei teatri di Broadway, Roddenberry andò a vedere Il mondo di Suzie Wong pièce teatrale di Paul Osborn tratta da un romanzo di Richard Mason.

Da poco più di un anno, tra l’altro, ne era stato tratto un film con William Holden. Proprio nella parte che Holden interpretò sul grande schermo, quella dell’architetto Robert Lomax, Gene vide un giovane attore che lo colpì moltissimo.

Non aveva niente di particolarmente straordinario, aveva però un volto molto espressivo nel quale gli sembrò di cogliere un’autorevolezza disinvolta e allo stesso tempo fragile, che sarebbe stata perfetta per il suo capitano. Gene non ne conosceva il nome, si informò subito e al termine dello spettacolo si adoperò per contattarlo.

Il nome di quell’attore, che avrebbe dato un contributo fondamentale nel trasformare in realtà il sogno di Gene Roddenberry, era naturalmente William Shatner.

Forse per questa sua austerità di fondo, la prima produzione americana alla quale partecipò fu decisamente impegnata: I fratelli Karamazov, al fianco di Yul Brinner nel 1958, un ruolo minore come minori furono i successivi ruoli che Shatner riuscì a ottenere al cinema. Meglio gli andò con la televisione e fu reclutato in diverse serie TV, tra cui anche la celebre Alfred Hitchcock presenta. Il successo maggiore della fase giovanile della sua carriera, però, Shatner lo ottenne a teatro, proprio con Suzie Wong.

Fu il trampolino che lo proiettò verso il grande successo e lo lanciò nello spazio verso l’ultima frontiera. “Spazio ultima frontiera, eccovi i viaggi dell’astronave Enterprise durante la sua missione quinquennale diretta all’esplorazione di nuovi mondi, alla ricerca di altre forme di vita e di civiltà fino ad arrivare là dove nessun uomo è mai giunto prima”.

È un incipit inconfondibile che tutti abbiamo sentito almeno una volta nella vita, e introduce tutte le puntate della Serie Classica di Star Trek; subito dopo prende la parola il capitano Kirk.

Gli episodi della Serie Classica, infatti, iniziano generalmente con la voce del capitano che registra le sue annotazioni sul diario di bordo dell’astronave Enterprise, citando sempre la data astrale. Quello del diario di bordo è un espediente per far entrare subito le storie nel vivo dell’azione e per sintetizzare lo svolgersi di eventi poco importanti ai fini dell’azione nel corso delle puntate. La trovata della datazione astrale invece, a detta dello stesso Roddenberry, dovrebbe avere la funzione di straniare gli spettatori proiettandoli in una dimensione completamente ignota in un futuro remoto dove tutto può accadere, per ottenere l’effetto della completa e totale sospensione dell’incredulità. Queste sono alcune delle caratteristiche del secondo episodio pilota che Gene Roddenberry recapitò alla NBC nel febbraio del 1966 dopo oltre sei mesi di lavoro.

Il titolo dell’episodio era “Where No Man Has Gone Before”, “Oltre la galassia” in italiano. La struttura è decisamente diversa dal tentativo precedente: più azione, più ritmo, personaggi completamente cambiati. L’unico personaggio ad essere mantenuto è quello del signor Spock, interpretato da Leonard Nimoy. La NBC lo riteneva anomalo, diverso, quasi satanico. Aveva spinto per eliminarlo fin dal primo episodio pilota, Roddenberry però si era opposto e la spuntò; col senno di poi è evidente che fece bene: Spock è stato uno dei personaggi chiave per il successo della serie. La vera scelta vincente, però, si rivelò essere quella di Shatner nei panni del capitano Kirk. Innanzitutto, il nuovo personaggio venne disegnato da Roddenberry con molte sfumature più affascinanti rispetto al predecessore Pike. Kirk vive di equilibri intensi di forza e fragilità, equilibri che Shatner riesce a comunicare alla perfezione. Il sogno di Roddenberry si era realizzato.

La trama del secondo pilot vede l’Enterprise che, seguendo un segnale di soccorso, arriva al confine della galassia dove viene scossa da un potente campo di energia. In seguito a ciò Gary Mitchell, un membro dell’equipaggio, molto amico di Kirk, subisce un forte incremento dei propri latenti poteri di percezione extrasensoriale, iniziando a sentirsi superiore al resto dell’equipaggio e autoproclamandosi divinità. Insieme alla dottoressa Elizabeth Denher, i cui poteri extrasensoriali iniziano anch’essi ad aumentare, Mitchell riesce a fuggire da una struttura di Delta Vega dove il capitano Kirk pensava di poterlo rinchiudere. Kirk, nonostante l’amicizia che lo lega a Mitchell, lo insegue e infine lo neutralizza aiutato dalla stessa dottoressa Denher.

La regia dell’episodio è firmata da James Goldstone, la fotografia da Ernest Haller, che numerosi anni prima aveva vinto il premio Oscar per Via col vento.

I dirigenti della NBC sobbalzarono quando videro il secondo episodio e il piano per la serie che Roddenberry aveva in mente. Compresero subito, infatti, di avere per le mani un prodotto evocativo, visionario, potente.

Una sorta di western spaziale dall’impatto immaginifico straordinario.

Il debutto avvenne l’8 settembre 1966 e fu l’inizio di tre stagioni straordinarie.

Per 79 episodi e tre anni, fino al giugno del 1969, Star Trek si fece lentamente strada nell’immaginario collettivo. Il successo della serie non fu immediato, il pubblico gradiva ma gli indici di ascolto non erano fenomenali, tuttavia divenne immediatamente originale e inedito il rapporto tra la serie e il suo pubblico.

Star Trek è, infatti, la prima serie televisiva per la quale possa essere usato il concetto di fandom. Per fandom si intende una sorta di vastissimo reticolo di fan e sostenitori della serie, una comunità di cultori il cui trasporto va ben oltre la semplice passione.

Nel caso di Star Trek i fan della serie trasformarono fin da subito lo show televisivo in un vero e proprio fenomeno sub culturale. Iniziarono ad organizzarsi in gruppi, fondarono club, pianificarono manifestazioni a tema, spesso in costume, produssero letteratura tematica che approfondiva le questioni della serie catalogando, ad esempio, le molte razze aliene presenti, spiegando la fisica delle astronavi e delle tecnologie usate dai protagonisti. Proliferarono riviste e nacquero fumetti.

Per Star Trek, insomma, dopo la fine della serie nel 1969 iniziò una seconda, straordinaria vita che ne alimentò il successo, come ricorda lo stesso protagonista William Shatner: “È stata una vicenda molto strana e particolare. Per i tre anni in cui è andata in onda, la serie ha riscosso un buon successo, discreto insomma, poi però quando si è conclusa la terza ed ultima stagione è come se qualcosa fosse iniziato, è stato incredibile.

Nelle tre stagioni della serie, Star Trek ha seminato ma i frutti sono germogliati negli anni ’70 in una maniera che nessuno avrebbe mai potuto prevedere”.

Così Gene Roddenberry, l’ex pilota ed ex poliziotto che amava il western e la fantascienza riuscì a concretizzare i suoi sogni. Ma dopo tre stagioni, almeno sul piccolo schermo, per Star Trek calò momentaneamente il sipario.

“Avevamo fatto il possibile per spendere poco, in realtà quest’ottica di basso budget ci ha anche permesso di trovare delle soluzioni che hanno poi fatto la fortuna della serie. L’esempio più celebre è sicuramente il teletrasporto. Fu il tipico esempio di come fare di necessità virtù: realizzare le sequenze di atterraggio dell’astronave su vari pianeti avrebbe richiesto troppo in termini di effetti speciali così come gli attracchi tra nave e nave. Così spingendoci un po’ in là con l’immaginazione ci siamo inventati questo strumento che poi è diventato uno dei simboli di Star Trek”.

In realtà tutta la tecnologia di Star Trek ha un po’ questa matrice. Quello che colpisce, però, è la straordinaria capacità di Roddenberry di prevedere il futuro e di capire, quasi come un Jules Verne delle serie TV, in che direzione si stesse evolvendo il progresso tecnologico: minidischi, telefoni cellulari, computer palmari sono all’ordine del giorno nella serie in un momento storico in cui erano bel lungi dal vedere la luce. Il teletrasporto, i viaggi più veloci della luce avanti e indietro nel tempo sono oggi oggetto di autentiche ricerche scientifiche. Insomma, Star Trek: La Serie Classica, in onda dal 1966 al 1969, segna la consacrazione di Gene Roddenberry.

Il resto è storia, la storia di Star Trek.

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